Vivienda Vacacional

Vivienda Vacacional: conviene veramente?

È uno dei cavalli di battaglia di chi sogna di trasferirsi alle Isole Canarie per “vivere di rendita” ma a nostro avviso, nella maggior parte dei casi, si dimostra nei fatti oggi un investimento mediocre.

Stiamo parlando dell’acquisto di un immobile ad uso Vivienda Vacacional, o affitti brevi, perlopiù a turisti.

Ha avuto un boom negli scorsi anni ed ha probabilmente contribuito all’aumento della domanda nelle zone più turistiche, ma come sempre accade i veri affari li fa chi arriva per primo e – anche in questo caso – pare sia andata esattamente così.

Poi con il tempo i mercati appunto cambiano e di una cosa possiamo essere certi: che quando un business attira l’attenzione delle masse i guadagni inevitabilmente si appiattiscono e chi a suo tempo ha beneficiato dell’opportunità di guadagno già si è spostato su altre attività più redditizie.

Oggi ci sono almeno due ragioni per cui sconsigliamo di intraprendere questo tipo di investimento.

La prima ragione è l’incertezza normativa.

Il regolamento che regola la vivienda vacacional è da anni nel mirino di cittadini e associazioni che rivendicano il diritto di poter operare, con un certo grado di libertà, in un contesto in cui le istituzioni locali competenti hanno invece posto (da sempre) forti vincoli. Proprio questo regolamento è stato oggetto di una recente sentenza del Tribunal Supremo, che ha riconosciuto la nullità di alcuni di questi vincoli in quanto non espressamente previsti nella Ley de Turismo Canaria. Ma la partita non si chiude qui.

È infatti notizia di qualche giorno fa che un Comune (nella fattispecie l’Ayuntamiento de Las Palmas de Gran Canaria) ha approvato una misura secondo la quale la gestione di una Vivienda Vacacional verrebbe considerata “attività turistica“. Ciò non solo stravolgerebbe le regole cui i proprietari devono sottostare per poter continuare a sfruttare commercialmente il proprio immobile, ma di fatto ridurrebbe drasticamente i casi in cui l’esercizio di tale attività è ritenuto compatibile con le caratteristiche dell’immobile in questione. Ascav (Asociación Canaria del Alquiler Vacacional) stima che questo nuovo paradigma farebbe crollare del 90% il numero di immobili con i requisiti in regola per poter svolgere questo tipo di attività.

Non è questa la sede per approfondire certi aspetti, ma quando si parla di investimenti è doveroso valutare gli impatti che un quadro normativo così incerto potrebbe avere sul buon esito delle operazioni di investimento. Questo è il quadro che noi oggi presentiamo ai clienti che ci chiedono di investire nella Vivienda Vacacional e questo è il motivo principale per cui continueremo a sconsigliare questo tipo di investimento.

Ma esiste una seconda ragione, non certo meno importante per un investitore: la redditività di questo tipo di investimento non giustifica nemmeno lontanamente i rischi descritti poco sopra.

Partiamo dal concetto che per noi investire significa impegnare una somma di denaro a fronte di un rendimento stabilito (o stimato) a priori. In questo contesto, per noi l’investimento non implica che il proprietario debba gestire in prima persona i propri appartamenti, esercitando di fatto un’attività vera e propria che nulla ha a che fare con una rendita.

Anche in questo caso, al cliente mostriamo una semplice casistica reale che, pur non potendo essere generalizzata rispetto a tutte quelle presenti sulle isole, fornisce almeno un’idea verosimile all’investitore permettendogli di valutare questo tipo di opportunità con occhio più consapevole.

In particolare cerchiamo di evidenziare il fatto che tra affittare ad uso residenziale e affittare ad uso turistico non c’è questa grande differenza di redditività, soprattutto se contestualizzato nel quadro di incertezze che abbiamo descritto poco fa.

In questo esempio paragoniamo la gestione di uno stesso immobile, sia come affitto residenziale che come affitto ad uso turistico. Nell’ottica dell’investimento, ovviamente, abbiamo ipotizzato che a gestirlo sia un’agenzia, con un compenso del 20% sulle somme fatturate al cliente.

Ciò che balza subito all’occhio è la differenza tra le due percentuali di rendimento, che risulta essere tutto sommato irrisoria rispetto a quanto viene spesso dichiarato da alcuni proprietari o agenzie.

Il fatto è che i conti vengono solitamente (ed erroneamente) basati sull’incassato e mai sul netto, dopo spese e imposte. Nell’esempio sopra le due casistiche verrebbero dunque “vendute” come un 6% per il residenziale ed un 10% per il turistico. Anzi, per il turistico con buona probabilità anche di più, perché nell’esempio sopra riportato è stato ipotizzato un 70% di presenze annue, mentre basterebbe “dichiarare” un 80% per far salire il rendimento a quasi il 12%.

Questo breve articolo non ha la pretesa di esaurire un argomento piuttosto complesso come quello fin qui trattato, ma ha la speranza di poter consentire almeno alle menti più aperte una valutazione critica di un business che troppo spesso non viene presentato per ciò che realmente è.

Marco Sparicio
analista mercati

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